Giorgio Labò a 18 anni
Anno scolastico 1928-1929 alla Giano Grillo. Giorgio è il primo a sinistra, in prima fila.
Oscar Saccorotti, Ritratto di Giorgio, 1929 c.
Camillo Sbarbaro, Ricordo di Giorgio Labò, all’insegna del pesce d’oro, Milano,1969
Paolo Rodocanachi, Cartolina della casa di Arenzano, 1930 c.
Giorgio Labò, Pagina manoscritta dal diario per Sant’Elia
Giorgio Labò, Alvar Aalto, Il Balcone, Milano, 1948
La luna nel corso, Milano, edizioni di “Corrente”, 1941
Sergente Giorgio Labò 36a Compagnia Minatori Poggio Mirteto
Ultime parole di Giorgio dettate al cappellano militare prima della sua fucilazione
PROFILO BIOGRAFICO
a cura di Pietro Boragina
Giorgio Labò (Modena 1919 – Roma 1944). Partigiano attivo a Roma nei GAP (Gruppi di Azione Patriottica). Fucilato a Forte Bravetta il 7 marzo 1944. Medaglia d’oro al valor militare.
Studente di Architettura al Politecnico di Milano, Labò interruppe gli studi per adempiere al servizio militare. Fu destinato a Firenze, Novi Ligure e infine nell’Alto Lazio nella Compagnia Minatori di Formazione a Poggio Mirteto, in provincia di Rieti. Nutrito dagli ideali di giustizia e libertà, dopo l’8 settembre del ’43, con il nome di battaglia di Lamberto, entrò a far parte dei GAP romani. Nella capitale, in una casa in via Giulia 23 /A, impiegando l’esperienza maturata nel genio artificieri, assieme al chimico Gianfranco Mattei, Giorgio Lamberto prepara esplosivi per attentati contro i tedeschi occupanti Roma. E nell’impropria Santa Barbara, il 1° febbraio 1944, assieme a Mattei, a seguito di una delazione di un compagno, viene sorpreso e arrestato dalle SS tedesche e trasferito nel carcere di via Tasso. Barbaramente torturato Giorgio non parlò, nè svelò alcun nome dei suoi compagni. Il 7 marzo 1944 venne fucilato a Forte Bravetta.
Alla memoria gli è stata conferita la medaglia d’Oro al Valor Militare. Il Politecnico di Milano lo ha proclamato honoris causa dottore in architettura. In via Giulia, sull’edificio dove Giorgio Labò fu arrestato assieme a Mattei, il Comune di Roma, per volontà delle due famiglie, i Mattei e i Labò, ha apposto nel 1957 una lapide a loro ricordo.
Giorgio Labò nasce a Modena il 29 maggio 1919. Il padre Mario, architetto, era nato a Genova il 17 settembre 1884. La madre, Enrica Elisa Morpurgo, il 2 luglio 1896, come si legge al numero 295 del registro della comunità israelitica, nasceva a Trieste, la nobilissima città dell’Imperial Regno Austroungarico. Enrica, con la sorella Lucia e i genitori, una famiglia di forti sentimenti irredentisti, nel 1916, da Trieste si era stabilita a Genova. Mario Labò ed Enrica Morpurgo si sposano il 13 luglio 1918. Assunto dalla Società Emiliana di Esercizi Elettrici, l’architetto Labò si trasferisce con la giovane moglie a Riolunato, in provincia di Modena, città dove sarebbe nato Giorgio. Terminato l’impegno lavorativo di Mario Labò nella città emiliana, nell’ottobre del 1920, la famiglia rientra a Genova e va ad abitare in piazza Colombo 13. Il padre di Giorgio viene eletto, nelle liste del Partito Socialista, consigliere comunale. Con l’incarico di Assessore alle Belle Arti e Storia, farà parte della giunta comunale presieduta dal sindaco Federico Ricci, l’ultima democraticamente eletta prima dell’avvento del fascismo. Giorgio, intanto, frequenta le elementari alla scuola Giano Grillo.
Giorgio Labò si iscrive poi al liceo classico all’Istituto Colombo, dove una lapide, oggi, ne ricorda la frequentazione. Abitazione e studio di architettura, Casa Labò divenne luogo di vivaci incontri, non soltanto di intellettuali, artisti e letterati amici di Mario, da Gio Ponti a Luigi Carlo Daneri, da Edoardo Persico a Giuseppe Pagano (direttori dal 1933 della rivista Casabella), Eugenio Fuselli, Giancarlo Palanti, Franco Albini, Lucio Fontana, Arturo Martini, Attilio Podestà, Francesco Messina e di formidabili collezionisti d’arte quali Mario Tarello, Alberto Della Ragione e Emilio e Maria Jesi, ma anche di quei giovani di una nuova generazione – Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, Duilio Morosini, Umberto Silva, Sandro Cherchi, Tullio Cicciarelli, Guido Chiti, Mirko e Afro Basaldella, Gianni Ratto lo scenografo del futuro Piccolo Teatro di Milano – che Giorgio aveva preso a conoscere e a frequentare. Un’atmosfera culturale che portò Giorgio a contatto con molti “maestri” che ne seguirono indirettamente o da vicino la crescita intellettuale. Casa Labò fu un vero luogo di incontro, sia pur per un breve periodo, tra diverse generazioni. Alcuni di quei giovani si sarebbero poi “dispersi” con la tragedia del secondo conflitto mondiale. Nella sua idealizzazione, quella casa, fu per molti una sospensione ideale, un momento di cristallizzazione intellettuale.
Chi aveva vissuto la maturazione di Giorgio più di ogni altro era stato un insegnante eccezionale: il poeta Camillo Sbarbaro.”A Giorgio – scrisse Sbarbaro in ricordo dell’allievo – devo d’aver conosciuto da presso un eroe. Egli ha dato per me contenuto a un’abusata figura retorica, della quale i tempi, che di eroi spesseggiano, avevano più che mai portato a diffidare. Tra troppi eroi a loro insaputa, Giorgio fu eroe di sua scelta, davanti a se stesso e in silenzio”.
La madre di Giorgio, Enrica Morpurgo, aveva spiccati interessi letterari e filosofici. Proveniva da una città come Trieste dove i rapporti culturali con l’Europa erano vivacissimi. Nata in una famiglia della buona borghesia ebraica imparentata da parte di madre con il filosofo Michelstaedter, Enrica aveva studiato inglese con Stanislaus Joyce, il fratello del più noto James, insegnante anch’egli di inglese e che a Trieste scrisse parte dell’Ulisse e fu molto amico di Italo Svevo. Enrica aveva una sorella, Lucia sposata al pittore Paolo Rodocanachi, che, nella sua casa di Arenzano, poco distante dal capoluogo ligure, ospitava letterati come Elio Vittorini, Carlo Emilio Gadda, Carlo Bo, Eugenio Montale… E spesso Giorgio era presente a quegli incontri letterari.
Mario, Enrica e Giorgio, i Labò, oltre che famiglia, oltre che genitori, oltre che figlio, erano tre amici che condividevano interessi e passioni. Dopo la tragica morte di Giorgio, il padre Mario, in una lettera a un amico espresse il senso di quell’unione, che faceva dei tre un tutto unico, pur tra spiccate divergenze caratteriali: “Certo sarebbe consolante poter pensare, come molti credono, che morire significherà andare a ritrovare Giorgio. Ma (diciamolo piano, è un’eresia da miscredenti), che cosa staremmo a fare, tutti e tre, nell’altro mondo, senza architettura, senza critica, senza storia dell’arte?” Nel 1938 Giorgio si iscrive alla facoltà di ingegneria all’Università di Genova per poi iscriversi l’anno dopo alla quella di Architettura del Politecnico di Milano.
A Milano frequentando gli ambienti artistici e letterari d’avanguardia, ha modo di consolidare e allargare le sue innate curiosità intellettuali. Entra a far parte del gruppo di artisti che fanno capo a “Corrente”. E sarà proprio il fondatore di Corrente, Ernesto Treccani, a commissionare a Giorgio una bozza preparatoria per la sede in via della Spiga 9 della Bottega di Corrente, che dovrà ospitare le mostre dei giovani artisti.
A Milano Giorgio diventa amico dei più importanti artisti e intellettuali dell’epoca: Carlo Bo, Renato Guttuso, Giansiro Ferrata, Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, Luciano Anceschi… Particolarmente felice l’amicizia con Renato Birolli, Gianni Ratto e Sandro Cherchi. Con scritti di critica d’arte e di architettura, Giorgio inizia a collaborare alle riviste “Corrente”, “Campo di Marte” e ai quotidiani “Il Secolo XIX” di Genova e “Il Resto del Carlino” di Bologna.
Giorgio Labò è tra gli autori, con Luciano Anceschi, Giansiro Ferrata e Ernesto Treccani, della raccolta di “pagine milanesi” che confluiranno nel 1941 nell’Almanacco “La Luna nel Corso” per le edizioni di Corrente. Intanto studia all’università e si dedica a saggi su Antonio Sant’Elia, rimasto inedito, e a una monografia su Alvar Aalto, amico e estimatore del lavoro di suo padre. Testo che vedrà la luce dopo la sua morte, nel 1948, a cura di Mario Labò.
Nutrito degli ideali di libertà e giustizia dopo l’8 settembre 1943 – era militare a Poggio Mirteto, nel Genio Artificieri – entra nelle formazioni partigiane che operavano nell’Alto Lazio, compiendo azioni di sabotaggio. Successivamente è a Roma nei Gap (Gruppi di Azione Patriottica) che fronteggiavano con attentati l’occupazione tedesca della capitale. Lamberto, questo il suo nome di battaglia, però non fa trapelare nulla agli amici romani che frequenta con una certa assiduità: Guttuso, il critico d’arte Giulio Carlo Argan, Alberto Lattuada, Mario Mafai, i coniugi collezionisti d’arte Emilio e Maria Jesi. E nulla avrebbero dovuto sospettare i suoi genitori.
A Roma in una casa di via Giulia 23 /A, impiegando l’esperienza maturata nel genio artificieri, assieme al chimico Gianfranco Mattei, Giorgio-Lamberto prepara esplosivi. E nell’impropria Santa Barbara, il 1° febbraio 1944, assieme a Mattei, a seguito di una delazione di un compagno incapace di resistere alle torture, viene sorpreso e arrestato dalle SS tedesche e trasferito nel sinistro carcere di via Tasso. Barbaramente torturato Giorgio non parlò, nè svelò alcun nome dei suoi compagni. Nella cella attigua, per timore di non resistere alle torture, Gianfranco Mattei si uccise impiccandosi. Il 7 marzo 1944, Giorgio Labò, venne fucilato a Forte Bravetta. Prima di essere trascinato da Via Tasso dettò al cappellano le sue ultime parole parole “Cercare il Prof. Argan in Roma Via Giacinto Carini /Monteverde/ 66 tram 29, dirgli che comunicasse alla famiglia che lui è passato con la massima serenità”.
Ritratti di Giorgio Labò eseguiti da Renato Guttuso, Mario Mafai e Nino Franchina subito dopo la sua morte